ASSOCIAZIONE LE ALI DELLA SPERANZA

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LA STORIA DI CHIARA

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Mi chiamo Cettina, vivo a Caltanissetta e sono mamma di due splendide ragazze, Chiara e Laura. La nostra storia fino ad un certo punto, è stata simile a quella di altre mille, il matrimonio, il miracolo della nascita delle nostre figlie, una vita dedicata a loro. Chiara è la più grande delle due. Durante la sua attesa, nel 1999, all’ecografia morfologica risultò una piccola dilatazione del rene destro. Per questo motivo, all’età di tre anni, il nostro pediatra ritenne opportuno fare un controllo delle urine, da cui emerse la presenza di microematuria (sangue occulto nelle urine). Iniziammo così una serie di accertamenti e visite in strutture siciliane, ma la causa della microematuria non si comprese, per questo decidemmo di andare in un ospedale pediatrico di Genova, dove, dopo qualche giorno di ricovero, ci comunicarono che la vescica aveva un minimo residuo e che la bambina produceva uricuria e ossaluria, per cui avremmo dovuto mantenere le urina acide, fare in modo che bevesse molto e ritornare a controllo ogni sei mesi. Al controllo successivo fecero anche dei prelievi per la celiachia, che risultarono positivi. Per questo motivo furono necessari ulteriori approfondimenti diagnostici attraverso una gastroscopia, che facemmo a Messina. Risultò che Chiara aveva la celiachia latente, ci dissero di effettuare ogni sei mesi una gastroscopia ma di non iniziare una dieta priva di glutine, con tutti i rischi che da una dieta normale potevano derivare. La diagnosi ci lasciò perplessi, e dopo aver assistito allo strazio di due gastroscopie da sveglia ci recammo ad Ancona per un ulteriore parere. Ad Ancona ci dissero che la bambina non aveva la celiachia latente ma che era geneticamente positiva, per cui bastava fare un prelievo ogni anno per monitorare la situazione e continuare con una dieta normale. Molto spesso, soprattutto durante la scuola elementare, Chiara accusava mal di testa e nausea, spesso caratterizzati come disturbi somatici tipici dell’età scolare.

 

Intorno ai sette anni, nel 2006, però ci accorgemmo che non riusciva a leggere bene alcune scritte ed iniziarono i primi controlli oculistici. Alla fine di ogni visita ci consigliavano ulteriori accertamenti perché la situazione non era chiara; dopo molti consulti ci venne prospettata una possibile retinite pigmentosa.  A Catania, e poi a Genova fece delle risonanze magnetiche da cui risultò che la bambina aveva semplicemente una sinusite, questo era il motivo del mal di testa. Nel referto era inoltre diagnosticata una modesta ectopia delle tonsille cerebellari che in un primo momento a Genova qualcuno mise in relazione con la sindrome di Arnold Chiari, ma poi nella diagnosi scrissero che la bambina non aveva questa sindrome e che i suoi disturbi erano probabilmente dovuti ad un disturbo psicosomatico. Per il sospetto di retinite pigmentosa il nostro pediatra ci consigliò di andare a Milano da un grande oculista pediatra primario di un reparto specializzato nel trattamento di queste patologie, li furono svolti alcuni esami, molto invasivi per una bambina di sette anni, che ci confermarono la diagnosi di retinite pigmentosa. Eravamo molto preoccupati ma, il pomeriggio, il primario con cui facemmo un consulto privato smentì la diagnosi fatta poco prima dai suoi stessi colleghi, dicendoci che la bambina non aveva assolutamente niente, che i suoi erano disturbi psicologici dovuti soprattutto allo stress delle continue visite. Ci consigliò di farla seguire da una brava psicologa e noi, rinfrancati dalle sue parole, seguimmo subito il consiglio. La neuropsichiatra infantile che si occupò di Chiara la definì una bambina serena ed equilibrata ma, vista la situazione, continuò a seguirla. I mal di testa e i problemi alla vista continuarono ma avevamo deciso, anche su consiglio del nostro pediatra, di tenerla lontana da visite e controlli.

 

Purtroppo intorno agli 11 anni sorsero dei nuovi problemi, Chiara iniziò ad avere un dolore in fossa iliaca destra, per questo motivo la portammo spesso al pronto soccorso di Caltanissetta. Inizialmente ci fu il sospetto di un’appendicite ma, durante i ricoveri, tutti gli esami risultarono negativi. Le furono somministrati degli antidolorifici e vari “sciroppini magici” per far calmare il dolore in casi estremi, ma gli episodi si fecero sempre più frequenti e più intensi. Contattammo di nuovo l’ospedale di Genova dove ci recammo di urgenza per il sospetto di un calcolo all’apparato urinario, ma anche stavolta era tutto negativo così la bambina venne sottoposta ad un esame urodinamico da cui, per la prima volta, si evidenziò una vescica di grandi dimensioni con notevole residuo vescicale. Il dolore forse derivava da questo, la causa era da collegare probabilmente ad un disturbo funzionale ma, per escludere ogni dubbio, a distanza di mesi avremmo dovuto fare una risonanza midollare. Nel frattempo a dire dei medici bastava semplicemente farla urinare ogni due ore. Al ritorno a casa la situazione peggiorò, Chiara non riusciva ad urinare ogni due ore, a volte capitava che riusciva solo la mattina e la sera. Il dolore continuava, ma ci dicevano di non agitarci e soprattutto di mantenere Chiara serena per cui, fino alla risonanza, andammo avanti con antidolorifici e sedute di psicoterapia. Finalmente arrivò la data della risonanza che come i medici prevedevano era negativa, per loro la situazione era stabile, per cui ci saremmo visti al prossimo controllo nel mese di Ottobre. Nel Settembre del 2012, per motivi di lavoro, mi trasferii insieme alle mie figlie a Russi, un paesino vicino Ravenna. Ad ottobre ci recammo a fare il controllo a Genova, la situazione era immutata per cui mi consigliarono di continuare a farla urinare ogni due ore. A novembre il dolore tornò ad essere acuto e per Chiara urinare era sempre più difficile fino a quando un giorno, “straziata” dal dolore, con la pancia gonfia come un pallone, andammo d’urgenza al pronto soccorso di Ravenna dove con grande difficoltà le misero il catetere vescicale. I dolori si calmarono, trascorremmo tre giorni all’ospedale di Ravenna ma quando i medici decisero di togliere il catetere non ci riuscirono per via dei fortissimi dolori che Chiara accusava. La frase “mi scoppia la vescica” rimbombava nelle nostre orecchie continuamente. Da Ravenna ci trasferirono in un rinomato ospedale di Bologna. Appena arrivati, incontrai il primario che mi rassicurò dicendomi che nel giro di pochi giorni tutto si sarebbe risolto. Purtroppo però anche a Bologna sostenevano che il problema era psicologico ed infatti dopo tre giorni arrivò la psicologa. Dopo la visita della specialista con Chiara ci dissero che il problema della bambina era un conflitto con la madre dovuto al trasferimento a Ravenna; rifiutando la situazione, per attirare l’attenzione, non urinava. Trascorsero diversi giorni e benché la situazione non migliorasse la diagnosi rimase immutata. Il dolore in fossa iliaca era sempre più forte e la bambina soffriva tantissimo, a volte le somministravano farmaci placebo quali il destrosio perché non credevano al dolore che Chiara diceva di provare; in quell’occasione alcuni dottori le dissero che se si fosse ostinata a non urinare le avrebbero fatto un buco sulla pancia per innestarle un catetere. A quel punto eravamo davvero disperati e pensammo di fare ogni giorno il bilancio idrico, cioè di misurare quanti liquidi entravano ed uscivano dalla vescica nelle 24 ore. Facendolo mi accorsi che spesso la bambina produceva più pipì rispetto alla quantità di liquidi che introduceva durante la giornata ma mi risposero che mia figlia probabilmente andava in bagno a bere di nascosto. Non sapevamo più cosa pensare.

Forse per noi genitori era più semplice iniziare a credere che nostra figlia potesse avere un disturbo psicologico dovuto all’età e alla situazione vissuta che non accettare una malattia oscura e forse grave. Eravamo anche molto frustrati perché, tra i vari consulti, ricoveri ospedalieri, visite con diversi specialisti, non riuscivamo a garantire a Chiara il rispetto e la pazienza che un individuo che soffre ha il diritto di avere. Nonostante i dubbi e la confusione provocata in noi dalle diverse diagnosi che indicavano un problema psicosomatico, continuavamo a sperare che si aprisse una strada per far luce sulla situazione. Intanto, cercavamo di capire il perché dello squilibrio nel bilancio idrico, cercavamo di valutare con lucidità il progredire della situazione e ci rendevamo conto che qualcosa non andava. Chiedemmo con insistenza che venisse effettuata una risonanza all’ipofisi e ci venne concessa dopo quasi un mese. Nel mese di gennaio 2013, arrivato il tanto atteso giorno della risonanza, il primario del reparto di radiologia si meravigliò che fino a quel momento nessuno avesse mai pensato di fare una risonanza completa dell’encefalo e lui, toccato profondamente dal racconto del calvario di Chiara e intenerito dalla situazione, andando oltre la burocrazia, la fece. Quando l’urologo lesse il referto della risonanza, sorridendo e con fare alquanto ilare, ci comunicò che la bambina aveva la sindrome di Arnold Chiari di tipo 1 ma che i suoi problemi vescicali non avevano nessuna attinenza con questa patologia ed aggiunse che i neurochirurghi consultati avevano prescritto solo un controllo a distanza di sei mesi. 

 

Trascorremmo all’ospedale diversi mesi e fummo dimessi a Febbraio con una diagnosi di vescica “neurogena non neurogena”, nonostante dalla risonanza risultava che nostra figlia avesse la sindrome di Arnold Chiari, nonostante la notte prima della dimissione la bambina avesse avuto una gravissima crisi di assenza (che mi aveva dato la sensazione che mia figlia non ci fosse più) che i medici avevano definito una crisi isterica e nonostante il dolore in fossa iliaca destra fosse sempre più forte. Al ritorno a casa affrontare quella realtà non fu per niente semplice, dopo quel periodo eravamo riusciti a togliere il catetere permanente ma, per sopravvivere a quel terribile dolore, la bambina doveva effettuare 13 cateterismi al giorno. Decidemmo così di consultare un famoso urologo pediatra di Padova ma lui ci disse che una situazione del genere non gli era mai capitata e che onestamente non sapeva cosa pensare. Mostrò la risonanza di Chiara ai neurochirurghi del luogo i quali confermarono che il problema vescicale non aveva attinenza con la sindrome di Arnold Chiari. Nel frattempo continuammo a cercare una risposta al problema di Chiara e trovammo sul web un istituto spagnolo che si occupa solo di questa patologia, inviammo la risonanza e ci venne detto che il problema vescicale della bambina dipendeva dalla sindrome di Arnold Chiari (cosa che avevamo letto già in diversi siti che si occupavano della patologia). Ci recammo in Spagna dove ci proposero un intervento di “resezione del filum termiale extra durale”, pensammo e sperammo che questa potesse essere una buona possibilità e la facemmo operare. Durante la permanenza in Spagna ci rendemmo conto che la nostra vicissitudine accomunava tanta gente con questo genere di problemi che spesso viene “bollata” come soggetto affetto da una patologia di natura psico-somatica o, peggio, di natura psichiatrica. L’intervento in Spagna sembrò essere andato bene, Chiara dopo 4 ore già riuscì ad urinare. Tornammo in Italia pieni di gioia, ma dopo un po’ iniziammo ad avere problemi ancora più seri. A partire da Aprile, e per più di un mese, le crisi di assenza di Chiara, scambiata per attacchi di panico si susseguirono senza sosta e, non appena scomparve questo sintomo, ci trovammo a combattere nuovamente con il dolore in fossa iliaca destra. Il pronto soccorso di Ravenna diventò la nostra seconda casa, ma gli esami ematochimici continuavano ad essere negativi; per i medici, che ormai conoscevano Chiara, lei aveva solo disturbi di natura psicologica ed ogni volta le veniva somministrato un antidolorifico o per sicurezza qualche antibiotico e veniva rispedita a casa. A fine aprile del 2012 mi recai all’ospedale di Lugo per sottoporre Laura, ad alcuni controlli medici. Uscita dalla sala raggi trovai Chiara piegata in due a causa del forte dolore in fossa iliaca destra. Mi recai al pronto soccorso di quell’ospedale e là, nonostante i risultati ematochimici fossero negativi, il chirurgo decise di tenerla sotto controllo qualche altro giorno. Al terzo giorno il primario della chirurgia di Lugo decise di operarla di appendicectomia e, all’uscita della sala operatoria, mi riferì che l’appendice di Chiara era in condizioni pietose. Non finirò mai di ringraziare quel medico che grazie alla sua elevata professionalità e alla sua capacità di ascolto, ha posto fine dopo tre anni a una delle tante sofferenze di nostra figlia che, a causa dell’incompetenza di chi l’aveva visitata prima di lui, rischiava la vita anche per una semplice appendicite, solo perché non era mai creduta. Dopo aver concluso questa battaglia se ne presentò un’altra non meno difficile. Una sera, mentre la bambina mangiava una pizza iniziò ad accusare prurito diffuso e senso di soffocamento, la compressa di Bentelan somministrata a casa non era bastata, mi recai al pronto soccorso dove le somministrarono dell’altro cortisone e dopo un po’ la situazione migliorò. A queste crisi se ne susseguirono tante altre. Al pronto soccorso tutto risultava essere sempre negativo e tutto, secondo i medici, dipendeva dalla mente di mia figlia. Improvvisamente Chiara fu colpita da una diarrea persistente associata ad un forte dolore alla pancia. Iniziammo così anche delle visite gastroenterologiche con ricoveri in diverse strutture ospedaliere tra cui Palermo e Roma, ma per mesi non si arrivò ad alcuna diagnosi. Chiara continuava a sottoporsi a diversi interventi per accertamenti diagnostici. Dalla colonscopia risultò una “iperplasia nodulare linfoide”, per alcuni medici questo non significava niente ma per altri si associava ad un problema di allergie alimentari, infine a Palermo finalmente capirono che il suo problema si chiamava “gluten-sensitive” quindi, per un certo periodo di tempo, togliendo il glutine e tanti altri alimenti le crisi allergiche si arrestarono pur persistendo i forti dolori alla pancia. Alla Sapienza di Roma, le diedero una cura a base di mesalazina e la situazione migliorò anche dal punto di vista gastrico. Essendomi documentata molto sulla Chiari mi chiesi se questo problema potesse essere collegato alla Sindrome, anche perché avevo letto che molti malati con sindrome di Arnold Chiari soffrono di diverse allergie soprattutto al glutine. In ogni caso, risolto il problema della crisi allergiche, pensammo che mia figlia finalmente potesse godere un po’ di meritata serenità ma, dopo 8 mesi dall’intervento in Spagna, Chiara si bloccò nuovamente nella minzione. Effettuammo il cateterismo a intermittenza sperando che tutto si risolvesse spontaneamente, ma purtroppo fummo costretti a mettere il catetere a permanenza perché la bambina arrivava a produrre anche 13 lt di pipì al giorno. Le sue condizioni fisiche erano diventate piuttosto serie. Quando ci recammo in ospedale a Catania, il neurologo comprese che c’era qualcosa che non andava. Dopo nuovi accertamenti fecero una diagnosi di diabete insipido e stabilirono una terapia ormonale, che però non riusciva a bloccare gli altri sintomi. Oltre a non potere urinare, non riusciva più a trattenere l’urina nella vescica a causa della ricomparsa del fortissimo dolore. Il giorno di Natale del 2012, quando finalmente riuscimmo ad inserire nuovi alimenti alla sua dieta, fu l’ultimo in cui Chiara mangiò normalmente. L’indomani infatti iniziò ad avere problemi di deglutizione rischiando di soffocare ogni volta che ingoiava. Il sintomo pian piano diventava insopportabile. Chiara, pur di mangiare, tossiva per molto tempo cercando di attivare un meccanismo di compensazione che fu interpretato da alcune tra le più importanti logopediste specializzate nel settore della deglutizione come un problema psico-somatico. Per fortuna anche in questa occasione trovammo qualcuno che volle andare oltre il pregiudizio e che studiò gli esami strumentali effettuati da mia figlia, tra cui la videofluorografia, che evidenziavano un problema neurologico. Mentre combattevamo questa ennesima battaglia, Chiara ogni tanto iniziava a cadere senza rendersi conto del motivo per cui si ritrovava per terra. Pian piano le cadute divennero sempre più frequenti tanto da non reggersi più in piedi, finendo sulla sedia a rotelle. Era il mese di Gennaio, a questo punto le tornarono i disturbi visivi, vedeva doppio, ed iniziò a soffrire di tantissimi sintomi che peggiorarono di giorno in giorno la sua già compromessa qualità di vita. I problemi alla vescica erano sempre maggiori e Chiara iniziava ad avere infezioni sempre più massicce alle vie urinarie soprattutto a causa del catetere a permanenza che comunque non risolveva il problema principale della ritenzione. Nel mese di marzo 2012 la portammo a Roma dove fu operata per l’applicazione di una cistostomia (cioè un catetere soprapubico). Intanto la facemmo visitare dal medico spagnolo che l’aveva operata nei mesi precedenti il quale non ci diede alcuna spiegazione plausibile del peggioramento di Chiara se non quella che la bambina potesse avere problemi di natura psichica; malgrado l’intervento pagato profumatamente in precedenza, anche lui se ne stava lavando le mani. Iniziammo nuovamente a girare l'Italia intera e a spedire le risonanze magnetiche di Chiara dappertutto anche fuori Italia ma le risposte erano sempre scoraggianti. Con tanta speranza andammo a Firenze da un famoso neurochirurgo che ci avevano consigliato alcuni conoscenti, il quale disse che la bambina non aveva la Chiari ma la SLA o la sclerosi multipla o, cosa molto più probabile, una gravissima malattia neuropsichiatrica. Tornammo a casa convinti di ripartire per Firenze dove su consiglio del medico avremmo dovuto ricoverare Chiara nel reparto di neuropsichiatria infantile da cui sempre al dire del medico difficilmente saremmo riusciti a trovare la causa neuropsichiatrica di questi sintomi. Realizzammo che ormai in Italia eravamo in un vicolo cieco. 

 

Quando ci eravamo quasi rassegnati a vedere la nostra bambina spegnersi tra le nostre mani giorno dopo giorno, grazie a Dio al nostro ritorno a casa fummo contattati dal dottor Paolo Bolognese di New York a cui avevamo inviato la risonanza magnetica di Chiara. Fissammo subito una videoconferenza nella quale ci spiegò con competenza ed in modo dettagliato il problema della bambina. Chiara aveva la Sindrome di Arnold Chiari associata ad una instabilità cranio cervicale dovuta all’ipoplasia del clivo, una Sindrome da trazione midollare e una sospetta Sindrome di Ehlers Danlos. Per avere una conferma di quanto da lui sospettato, il dottor Bolognese ci disse di fare delle trazioni cranio cervicali per capire se, alleggerendo le pressioni cerebrali che Chiara aveva a causa della sua patologia, ci fossero dei miglioramenti. Quando arrivammo ad un peso di 12Kg per seduta di trazione della durata di trenta minuti, il formicolio, il mal di testa, la nausea, la tachicardia, la diplopia e la disfagia si attenuarono in maniera evidente e Chiara riusciva addirittura a mettersi in piedi, a camminare e a mangiare per qualche minuto. Per avere un riscontro di quanto successo anche con i medici italiani, contattammo di nuovo le varie strutture in cui era stata nostra figlia, tra cui Roma, Udine, Genova, Milano, Verona, Pisa e Bergamo, e altri medici che l’avevano seguita privatamente, tra cui alcuni dei neurochirurghi più quotati d’Italia e dell’ estero, specialisti nella sindrome di Arnold Chiari, a cui avevamo spedito le risonanze magnetiche, ma nessuno riuscì a leggere nella risonanza ciò che aveva individuato il dottor Bolognese. Malgrado questo alcuni medici, venuti a conoscenza della diagnosi del The Chiari Institute, ci proposero di operarla solo di decompressione cranio cervicale, affermando di non vedere dalla risonanza l’altra malformazione cioè l’instabilità cranio cervicale che richiedeva anche un intervento di fusione cranio cervicale di cui continuavano a dire che non c’era necessità, perché non c’era la malformazione, premettendo però di continuare a non spiegarsi i sintomi di Chiara e la relazione degli stessi con la patologia; altri medici continuarono invece a pensare che la bambina era sulla sedia a rotelle perché aveva bisogno di farsi notare e la invitavano ad alzarsi! Inviammo una lettera del dott. Bolognese all’ospedale San Raffaele di Milano ed il neurochirurgo di riferimento mi disse di fidarmi di quello che diceva il dottor Bolognese e, nel caso fosse stato necessario un intervento chirurgico, di farla operare da lui perché loro non avevano la strumentazione adatta per questo tipo di chirurgia. Ci recammo anche da un bravo neurochirurgo del Cannizzaro, il quale nella risonanza riscontrò tutto ciò di cui ci aveva parlato il dottor Bolognese; anche lui ci consigliò l’intervento d’urgenza in America dove potevamo stare tranquilli perché di questi interventi ne facevano veramente tanti. Le condizioni della bambina intanto peggioravano fino a quando non dovemmo iniziare ad alimentarla attraverso il sondino naso gastrico. Ormai avevamo capito che l’intervento in America dal dottor Bolognese era l’unica speranza per salvare la vita di Chiara. Gli interventi, uno al cranio e l’altro al midollo spinale, la degenza e tutte le cure che Chiara avrebbe dovuto affrontare erano però costosissimi. Partimmo con una raccolta fondi che grazie alla generosità della gente, in poco tempo, ci portò in America. Il cinque agosto 2013 Chiara venne operata di fusione e decompressione cranio cervicale. Dopo qualche giorno cominciò a camminare e a mangiare. Il 4 settembre venne operata di resezione del filum terminale intradurale in quanto il dottor Bolognese ci spiegò che, per il tipo di problema della bambina al midollo spinale, l’intervento effettuato per via extra durale in Spagna era stato inutile.

 

Tornati finalmente da NY Chiara aveva riconquistato in parte la sua serenità, era tornata a scuola, faceva ogni giorno fisioterapia cercavamo tutti insieme di trovare una nuova normalità che durò due anni anche se i problemi alla vescica continuavano ad assillarla anche a causa del tempo trascorso senza alcuna diagnosi ed essendo spesso stata sottoposta a trattamenti errati. Iniziammo nuovamente a consultare diversi neurourologi sia Italiani che esteri e venne sottoposta ad alcuni interventi che miravano ad ingrandire la sua vescica attraverso il botox ma con scarso risultato. Le infezioni nel frattempo erano sempre più gravi e spinti dalla necessità di fare qualcosa, nel novembre del 2014 venne sottoposta alla prova per una neuromodulazione sacrale presso l'ospedale Bambin Gesù di Roma. Purtroppo a causa di una intubazione scorretta dovuta al fatto che i medici nonostante le raccomandazioni fatte (a causa della lassità del tessuto connettivo e della recente fusione cranio cervicale) di intubarla dal naso con il fibroscopio ottico l'hanno intubata dalla bocca ha avuto un arresto cardiaco e uno pneumotorace e non ha potuto eseguire un intervento che per lei poteva aprire una strada. 

Dopo questo episodio Chiara cominciò ad avere una febbre continua di origine sconosciuta e dopo qualche mese iniziarono nuovamente i problemi di deglutizione tanto che iniziò a nutrirsi con il sondino, a non poter più camminare e infine tornarono nuovamente tutti i sintomi che aveva prima della fusione. Precipitiamo di nuovo nel vuoto, da un lato ciò che era successo a Novembre al Bambin Gesù e il fatto che durante l’estubazione il suo collo era stato violentemente manipolato, dall’altro la continua instabilità. Dopo attenta osservazione durata diversi mesi, durante i quali siamo rimasti a NY il dottore Bolognese a Luglio del 2015,decide di sottoporre Chiara ad un intervento di resezione transorale dell’odontoide, un’intervento anche questo molto difficile, con diverse complicazioni e per il quale i dottori dovettero inventare e protocollare una nuova tecnica per intubare Chiara. L’intervento andò bene e ci fu anche un iniziale miglioramento dei sintomi, ma pian piano tutto ritornò come prima, anzi ci furono dei peggioramenti quali le apnee notturne e inoltre desaturava, quindi aveva bisogno dell’ossigeno e dopo altri tre mesi dall’intervento il dr. Bolognese decise di rifare la fusione iniziale (si era spostata la fusione durante le manovre fatte al Bambin Gesù?). Il 30 Settembre 2015 Chiara rientra in sala operatoria per la seconda fusione e dopo dieci ore di intervento e quasi un anno di permanenza a NY ritorniamo in Italia. 

 

Dopo qualche mese dal nostro ritorno mentre cercavamo di riprendere in mano la nostra quotidianità, Chiara ritornò nella sedia a rotelle e a nutrirsi con il sondino nasogastrico. Il dottore Bolognese a causa della complessità di queste patologie non riusciva a comprendere il perché del ritorno dei sintomi fino a quando da una risonanza risultò una ciste nella zona dell’accesso chirurgico di Luglio. Ad Aprile 2016 ripartimmo per un altro viaggio della speranza verso New York per rimuovere la ciste e fare altri esami invasivi che richiedevano altri interventi. Dall’ICP test risultò che c’era un problema con la pressione liquorale che era molto bassa, questa era una strada molto lunga che richiedeva altri interventi e non sapevamo se i sintomi dipendevano da questo o da qualcos'altro. Il nostro percorso prevedeva una serie di visite non solo a NY ma anche in altre parti dell'America  A Luglio ritornammo a New York per le procedure chirurgiche per la pressione intracranica e la trazione invasiva. Questa volta stranamente i valori della pressione intracranica che qualche mese prima erano veramente bassissimi erano ritornati normali. Le condizioni di salute di Chiara peggioravano di giorno in giorno e i medici erano in grossa difficoltà perché dagli esami fatti non si vedeva niente anche se pensavano ci fosse un'instabilità più in basso. Erano già trascorsi cinque mesi dal nostro arrivo in America alla casa Ronald McDonald dove abitavamo, ogni giorno tutti i volontari si prendevano cura di noi con amore e dolcezza tanto da considerarla la nostra seconda casa, ma dopo tutto quel tempo la stanchezza e la lontananza iniziarono a farsi sentire. Ci mancavano le nostre abitudine, il nostro paese, la nostra famiglia e l’ansia di non riuscire a capire il motivo per cui Chiara stesse di nuovo male si faceva sempre più forte. Continuammo le visite e a Settembre il dr Bolognese ci mandò in Virginia da un neurochirurgo vascolare che si occupava di pazienti come Chiara. Facemmo tantissimi chilometri in macchina e dopo un’accurata visita il dottore ci disse che vedeva finalmente qualcosa dalla risonanza che poteva risolvere un altro pezzo del puzzle, ma per confermarla doveva fare un esame invasivo che però aveva un costo molto elevato e a causa di ciò, non sapevamo nuovamente come procedere, quando improvvisamente grazie a Dio ed alla grande generosità del neurochirurgo ad Ottobre riuscimmo a partire nuovamente per la Virginia e a fare il costosissimo esame. Dall’angiografia cerebrale non risultò quello che il neurochirurgo prevedeva, la nostra piccola speranza si era di nuovo spenta. In quel ricovero gli fecero anche una puntura lombare che purtroppo gli provocò una grande perdita di liquor e dopo giorni di fortissimi mal di testa gli fecero un altro intervento di Blood patch. Al nostro ritorno a New York il dottore Bolognese dopo tantissimi esami e consulti finalmente aveva preso la decisone di provare un'altra fusione cranio cervicale. Questa volta la estese più sotto fino a C6 perché una delle tante complicanze che la sindrome di Ehlers Danlos porta è l’instabilità dei segmenti adiacenti, il grosso problema è capirlo. Ed eccoci finalmente a rivedere quella tanto attesa luce, Chiara il 9 Novembre entra per la ventiduesima volta in sala operatoria con la speranza che il giorno prima dell’intervento avrebbe fatto l'ultima nutrizione, l'ultima trazione e sarebbe stato l’ultimo giorno in sedia a rotelle. In effetti subito dopo l’intervento così è stato, in ospedale a parte una reazione molto brutta e insolita a una trasfusione dovuta alla sua Mast Cell Activation tutto sembrava filare liscio, Chiara riprende a camminare con le sue gambe e a mangiare normalmente. Dopo un interminabile periodo di otto mesi in cui ci siamo visti il mondo crollare addosso siamo finalmente saliti su quell’aereo con destinazione Catania.

 

 Ritornare a casa era per noi veramente un sogno. Un sogno che durò davvero poco perché dopo alcuni giorni dal nostro rientro a Chiara gli si paralizzò il braccio destro, eravamo di nuovo sprofondati nel nostro più grande incubo. Dopo pochi giorni un altro sintomo che all’inizio sembrava un banale mal di testa ci fece spaventare molto, lo strano mal di testa che accusava Chiara era sintomo di una bassa saturazione. Chiara non respirava bene e aveva necessità di portare l’ossigeno e dopo ritornò anche sulla sedia a rotelle. Contattammo subito New York che immediatamente ci fissò la videoconferenza e ci dissero che Chiara doveva essere operata d’urgenza per allungare la fusione. Così dopo neanche due mesi dal nostro ritorno in Italia ci trovammo in quattro e quattr’otto su quell’aereo verso New York, stanchi e pieni di paura, ignari di quale fosse il futuro di nostra figlia. Il 7 febbraio Chiara entra in sala operatoria per allungare la fusione fino a T2 e fare il disancoraggio del midollo un’altra volta, dopo dieci ore di intervento sembrava fosse essere andato tutto bene, dopo pochi giorno esce dalla terapia intensiva e iniziava a muovere anche il braccio. In reparto purtroppo Chiara aveva di nuovo necessità di fare una trasfusione e ricordandoci quello che era successo la volta scorsa avevamo molta paura, ma i dottori ci avevano rassicurato che facevano una premedicazione per le allergie. Chiara fece due sacche di sangue e non appena finita la seconda sacca iniziarono le reazioni allergiche, all’inizio sembravano essere controllate, superiamo quel giorno con crisi allergiche continue ma con l’adrenalina sembrava che potevamo farcela. Il secondo giorno dopo le trasfusioni Chiara ha delle reazioni allergiche che non riuscivamo più a controllare inizia a sentirsi un fuoco dentro, era rossissima, gli si chiudeva la gola in continuazione quando improvvisamente uno tsunami ha invaso il suo corpicino fragile. Una terribile reazione da mast cell activation, inimmaginabile, imprevedibile invade tutti i suoi organi. Suona l'allarme in ospedale, tutti i medici, su di lei, non riesce più a respirare, gli inducono il coma farmacologico e dopo diverse prove fallite gli fanno una tracheotomia d’urgenza. In tre minuti Chiara aveva avuto un infarto, un edema polmonare  e una polmonite da ab ingestis, lei combatte come una leonessa, poi di corsa la trasferiscono in un altro ospedale, anche qui i medici non si fermano, sono tutti meravigliosi dopo una notte indimenticabile dove Chiara ha toccato il fondo tantissime volte e solo grazie alle preghiere riusciamo ad evitare la fine riescono a stabilizzarla, ma la mattina mi dicono che il suo cuore era troppo debole e non c’erano speranze l’unica possibilità era di trasferirla nel miglior ospedale di New York a Manhattan dove potevano attaccarla all’ECMO (circolazione extracorporea), Noi accettiamo anche se ci avevano detto che il trasferimento in quelle condizioni sarebbe stato molto rischioso, ci venne a prendere un equipe straordinaria, arriviamo nel nuovo ospedale, qui non smettono un attimo di combattere per lei nonostante le precarie condizioni e capiscono tutti che Chiara é innamorata della vita, piccolissimi miglioramenti ci regalano la speranza, Le condizioni di Chiara miglioravano pian pianino e la iniziarono a svegliare dal coma farmacologico, ridussero alcuni farmaci e i liquidi nel corpo erano un pò diminuiti. Il cuore purtroppo destava ancora preoccupazioni e le crisi allergiche non erano perfettamente sotto controllo ed è per questo che i dottori dicevano che non era ancora fuori pericolo ma nessuno aveva potuto fare a meno di notare l'incredibile amore che Chiara ha verso la vita e la mano che Dio tiene continuamente su di lei. Anche stavolta lei aveva accettato tutto e alcune cose i dottori non riuscivano a spiegarsele ma noi si.  Giorno dopo giorno Chiara ci regalava un piccolo miglioramento, le prime parole, i primi movimenti, i primi passi, fino a quando dopo due mesi riuscimmo miracolosamente a levare la tracheotomia e farci trasferire al centro di riabilitazione. Al centro di riabilitazione erano tutti meravigliosi, si occupavano di Chiara e di me in ogni cosa, lei ogni giorno faceva piccoli passi in avanti, se penso che quando si era svegliata non riusciva nemmeno a muovere le dita, stavamo toccando già il cielo con le mani, si stancava sempre meno, riusciva sempre più a stare nella sedia a rotelle e aveva iniziato a fare qualche piccolo passo. Dopo dieci giorni di riabilitazione a causa di un’infezione gli è stato necessario somministrarle un antibiotico che purtroppo dopo alcune dosi gli ha fatto allergia, un altro shock anafilattico, Chiara non respirava, suona l’allarme e la trasferirono di nuovo in terapia intensiva, gli fecero sette epipen in pochissimo tempo, sembrava irreale ma purtroppo corrispondeva alla verità. Erano riprese le crisi allergiche, Chiara ogni giorno combatteva contro continui shock anafilattici, bruciava, non respirava, sempre tutti in allerta per la paura di un nuovo infarto. Passammo dieci giorni di shock anafilattici continui fino a quando grazie a un anticorpo monoclonale gli shock si trasformarono in crisi allergiche che si potevano controllare e anzi andavano sempre diminuendo, così finalmente ci trasferirono in reparto. Dovevamo passare solo una notte in reparto e poi essere trasferiti di nuovo al centro di riabilitazione, ma purtroppo in quella notte a Chiara si aprì la ferita dell’intervento al midollo. Passammo una notte da incubo con dolori fortissimi e la mattina seguente Chiara fu portata d’urgenza in sala operatoria, dopo l’intervento rimase una settimana in coma farmacologico ma l’intervento sembrava essere andato tutto bene, anche il dolore stava migliorando. Ritornammo in reparto con la speranza che quella sarebbe stata la nostra ultima avventura e potevamo essere finalmente trasferiti al centro di riabilitazione ma nel frattempo che continuava il cocktail di antibiotici in vena a Chiara ritornò il dolore alla ferita così dopo più di quindici giorni dall’ultimo intervento i dottori decisero di riportarla in sala operatoria. Anche questa volta sembrava essere andato tutto bene, anche se la convalescenza era sempre più difficile perché Chiara era troppo debilitata. Dopo l’intervento con i dottori decidemmo di non tornare al centro di riabilitazione ma di ritornare in Italia perché dopo cinque mesi d’ospedale dove Chiara aveva visto la morte in faccia troppe volte eravamo tutti stanchi e avevamo proprio bisogno di un po' di tranquillità. Ritornammo a casa felici di aver vinto anche quella battaglia, consapevoli di nuove patologie ma con la grinta anche quella volta di potercela fare. 

 

Era l’estate del 2017 volevamo goderci qualche attimo in famiglia ma purtroppo quella bella realtà durò veramente poco perché dopo meno di un mese dal nostro ritorno a casa a Chiara ritornò il forte dolore alla ferita e la febbre. Chiara stava di nuovo veramente male, la ricoverarono nell’ospedale della nostra città e dalla risonanza risultò di nuovo l’infezione alla ferita, tutti gli antibiotici che provavamo gli facevano allergia e l’unico che poteva prendere lo doveva prendere con dosi altissime di cortisone per evitare le crisi allergiche. In Italia anche questa volta non abbiamo trovato nessuno disposto ad aiutarci, la complessità delle sue patologie spaventa molto i medici ed anche se andare in America per noi diventava sempre più difficile siamo stati costretti dopo nemmeno due mesi a ripartire. Chiara così entrò per la ventottesima volta in sala operatoria, la prima volta non sono riusciti a intubarla e slittarono l’intervento di una settimana e grazie a Dio la seconda volta sono riusciti ad andare avanti senza fare la tracheotomia. Dopo l’intervento sembrava andasse tutto bene, il dolore alla ferita stava passando e combattevamo tanto per tenere sotto controllo il dolore postchirurgico e le allergie che purtroppo si scatenano ogni volta che il suo corpo subisce uno stress, ma nonostante tutto ogni giorno vedevamo dei piccoli miglioramenti. Dopo una settimana Chiara uscì dalla terapia intensiva e quando finalmente pensavamo che la nostra battaglia sarebbe presto terminata l’ennesimo ostacolo si pose innanzi a noi. Chiara purtroppo iniziò ad accusare dolore all’anca destra e dalla radiografia risultò che aveva una frattura sia a causa della sindrome di Ehlers danlos che a causa dell'eccessivo uso di cortisone. Le sofferenze per Chiara e per la nostra famiglia sembravano non avere mai fine, passammo un mese ricoverati in quell’ospedale. Ogni giorno i dottori si riunivano per capire come affrontare un eventuale intervento per la frattura ma la paura era tanta, prima di entrare in sala operatoria erano tanti i problemi da risolvere; le reazioni allergiche, le trasfusioni, il dolore, l'intubazione, i costi e tante altre cose. Dopo più di un mese finalmente trovammo un bravissimo medico in un altro ospedale che si prese la responsabilità di operare Chiara. L’intervento andò bene anche se le crisi allergiche erano sempre più forti dopo diversi giorni uscimmo dall'ospedale e immediatamente anche se non ere pronta per partire e ancora dovevamo fare tante visite siamo dovuti partire perché purtroppo erano finite due medicine importantissime per la sua vita e non potevamo comprarle in America, perché erano molto costose.

 

Ritornammo a casa, ma ancora aveva dei fortissimi dolori alla schiena, alla testa e all'anca. Inoltre aveva continue reazioni allergiche si pensava dovute al dolore, per cui necessitava come necessita tutt’ora un antistaminico che hanno solo in America e che grazie a Dio l’ospedale di Caltanissetta ci fornisce. Ritornati in Italia il nostro percorso non è stato per niente semplice, ogni giorno cercavamo qualche dottore per avere un punto di riferimento per le nuove terapie che doveva fare mensilmente ma nessuno si voleva prendere la responsabilità a causa della Mast Cell Activation. Qualche settimana dopo il nostro rientro da NY, una Domenica purtroppo oltre alle solite crisi allergiche, gli venne un altro shock anafilattico, improvvisamente gli era scesa la saturazione e non riusciva a respirare. Costretti ad andare in ospedale, da Caltanissetta con l’elisoccorso ci trasferiscono a Palermo, in quel ricovero successero purtroppo diverse cose, gli dovettero levare il catetere venoso centrale perché sembrava essere infetto ma in realtà dopo averlo levato si scoprì che avevano scambiato le analisi del sangue, fu una vera impresa per i dottori riuscirne a metterne un altro. Usciti dall’ospedale, con grandi difficoltà iniziammo a fare alcune terapie che ci prescrissero in America. Una di queste terapie le provocava continui shock anafilattici e spesso veniva ricoverata in terapia intensiva. A causa di tutto quel cortisone abbassato troppo velocemente in uno dei tanti ricoveri gli si sviluppò anche una grave insufficienza surrenalica che grazie a Dio dopo un po' riuscimmo a tenere sotto controllo con i farmaci. Dopo qualche mese ritornammo in America per fare dei controlli e nuove visite perché vista la rarità delle sue malattie solo in questi centri altamente specializzati si riescono ad avere delle risposte.

 

Chiara nel frattempo visto che i suoi sintomi più debilitanti comunque erano migliorati, voleva garantirsi una vita quando più possibile normale, era sempre al passo con gli studi a cui teneva in modo particolare, e in quell’ anno, arrivò grazie al suo grande impegno, la maturità. Dopo la maturità di Chiara ripartimmo per l’America, i problemi da risolvere erano tanti, la ferita dell'intervento fatto l’anno precedente e di cui successivamente era stata operata altre tre volte per un'infezione e per la formazione di tessuto cicatriziale gli faceva già da tempo nuovamente molto male. Il neurochirurgo ad Aprile aveva detto che se era un'altra paziente l’aveva già operata, ma purtroppo le sue condizioni non lo permettevano nonostante ogni giorno il dolore alla schiena aumentava sempre di più.  Era dura ma la speranza di farcela nonostante tutto cercavamo di non perderla mai! L'ortopedico, da cui avevamo prenotato i due interventi insieme a tutti gli altri medici, avevano deciso di rimandare tutto perché sarebbe stato troppo rischioso per le sue continue crisi allergiche. La Mast Cell Activation è una malattia rara e nuova e ancora non si ha una cura ben precisa bisogna andare a tentativi fino a quando non si trova il farmaco giusto per il proprio corpo. Dopo due mesi ritornammo in Italia, Chiara aveva ancora più di dieci crisi allergiche al giorno che non riuscivamo nemmeno a tenere sotto controllo, il dolore alla ferita era sempre lì ormai da più di due anni e gli episodi di fortissimo mal di testa e vomito si facevano sempre più frequenti, si pensava ad una possibile perdita di liquor e al midollo ancorato ma per fare qualsiasi cosa dovevamo prima riuscire a tenere le crisi allergiche sotto controllo. La lista degli interventi da fare si allungava sempre di più, aspettando di trovare il farmaco giusto per la Mast Cell Activation. Giravamo come trottole da un dottore all'altro senza mai ricevere risposte ma solo tante delusioni con la speranza sempre di continuare a trovare la forza. Vivevamo in trinceal'aeroporto era diventato ormai la nostra seconda casa, spesso eravamo in volo per cercare di rimettere insieme alcuni pezzi di un grande e difficile puzzle: Catania, Napoli, San Giovanni Rotondo, Milano, Bonn, Vienna, Ragusa, Roma, queste erano solo le città che avevamo attraversato in poche settimane per visite ed esami, ma nonostante ciò, con grande impegno e determinazione Chiara continuava a studiare e a frequentare l’università grazie al fatto che la sua colonna era più stabile e riusciva a camminare e simulare una certa normalità. A Gennaio del 2020 ripartimmo per New York dove ci aspettavano per fare un intervento diagnostico molto invasivo per poi vedere come proseguire. Eravamo stanchi e sempre più soli in questa difficile battaglia, ma non volevamo e non potevamo arrenderci anche se non era facile vivere la quotidianità con più di venti crisi allergiche, dolori atroci e altri sintomi e oltretutto combattere contro chi crea ostacoli a chi già di ostacoli ne ha da vendere. In ospedale gli fecero anche tanti altri esami, la pressione intracranica era al limite e gli prescrissero un farmaco, risultò che aveva delle gravi fratture alle vertebre, gli cambiarono l’acceso venoso centrale e ci fecero uscire mentre aspettavamo che i dottori si riunissero per capire con quale intervento chirurgico procedere. Usciti dall’ospedale purtroppo Chiara accusò un forte dolore al braccio e dopo un paio di giorni ci recammo al pronto soccorso dove la ricoverarono perché aveva sviluppato un trombo vicino al cuore, con Chiara ogni decisione doveva essere calibrata bene a causa delle allergie e dopo un paio di giorni decisero di riportarla in sala operatoria per cambiargli la centrale. Purtroppo a causa di questa complicazione e a causa dello scoppio della pandemia dopo più di due mesi di permanenza a New York siamo dovuti ritornare in Italia con la speranza di poter ritornare presto. Tornati in Italia purtroppo continuammo ad avere problemi con il catetere venoso centrale e in piena pandemia siamo stati costretti a doverlo cambiare di nuovo, questa volta però le cose andarono male perché Chiara ebbe un grave shock anafilattico che ci costrinse a stare più di dieci giorni in terapia intensiva. Usciti dall’ospedale continuammo le nostre battaglie chiusi il più possibile a casa e prendendo tutte le precauzioni possibili affinché Chiara non prendesse il covid. A Novembre purtroppo inaspettatamente a Chiara ritornarono pian piano i sintomi e nei mesi successivi peggiorava sempre di più, non riusciva più a camminare, aveva dolori atroci soprattutto alla testa e alla schiena perché aveva la pressione intracranica alta e non riusciva più ad ingoiare e per alimentarsi oltre al sondino faceva una trazione di undici chili con un effetto di due minuti. Aveva tantissimi altri sintomi dovuti all'instabilità e per non farci mancare niente avevamo di nuovo problemi con il catetere venoso centrale. L'unica speranza per stare meglio era quella di fare diversi interventi a NY, ma in quel momento con tutte quelle crisi allergiche era troppo pericoloso operarsi e a causa della pandemia non potevamo andare a NY. 

 

I mesi passavano e nel 2021 mentre stavamo combattendo con tutte le nostre forze per il ritorno dei sintomi e pe l'avvicinarsi di un nuovo intervento di fusione in America la cui organizzazione richiedeva tempo e denaro un'altra battaglia si é fatta avanti. A Chiara gli venne un blocco intestinale, non andava in bagno da più di un mese e aveva mal di pancia fortissimI. Nell’ospedale della nostra città purtroppo oltre a dirci che gli si era paralizzato lo stomaco non facevano altro a causa delle sue commorbilità e soprattutto delle crisi allergiche che non sapevano come trattare, eravamo nel buio più totale perché Chiara stava sempre peggio e nessuna voleva prendersela in carico. Dopo diverse lotte grazie anche all’aiuto della nostra direzione ospedaliera, di alcuni medici e di una bella parte del personale amministrativo che ci stanno sempre accanto, fu ricoverata a Palermo ma purtroppo la situazione non cambiò molto perché dopo i primi tentativi di provare una nutrizione parenterale falliti a causa di shock anafilattici molto forti che la portarono in terapia intensiva anche là si arresero perché dicevano di avere paura a provare qualsiasi cosa a causa delle crisi allergiche. Chiara era a digiuno da più di trenta giorni non potendosi alimentare nemmeno con il sondino e iniziò a vomitare più di trenta quaranta volte al giorno. Aveva perso più di venti chili e i dottori continuavano a dire che non sapevano cosa fare, non gli provavano niente neanche un antiemetico, tutti i suoi valori erano alterati, peggiorava di giorno in giorno e la situazione era veramente grave. Fino a quanto entrò in acidosi e fu trasferita in terapia intensiva, la i dottori ci dissero che non c’era più niente da fare, che loro non conoscevano le malattie di Chiara e non sapevano come comportarsi. Noi continuavamo a combattere per lei perché non era possibile lasciare morire una ragazza solo perché si aveva paura di provare, fino a quando un giorno il giorno dell’assunzione un’altro miracolo si avvicinò alle nostre vite tanto impaurite e provate, arrivò un medico che ebbe il coraggio di provare tutte le medicine necessarie, Chiara iniziò pian piano a migliorare e si sbloccò anche con l’intestino. Non era facile perché ormai Chiara era arrivata a limite e nel corpo non aveva più nessuna sostanza ma giorno dopo giorno un po' alla volta siamo riusciti anche ad integrare di nuovo la nutrizione enterale e dopo due mesi riuscimmo a tornare a casa. Ritornati a casa non stava ancora per niente bene ma già il nostro rientro a casa era una luce che ci faceva credere che pian piano le cose sarebbero migliorate. Finita questa battaglia subito organizzammo il nostro ritorno a New York per l’intervento di revisione della fusione cranio cervicale e così a Novembre ripartimmo con la speranza che potesse ritornare a mangiare e camminare. La preoccupazione era tanta, da una parte eravamo felicissimi perché finalmente se andava tutto bene, poteva ritornare ad avere una vita molto più vicina alla normalità, ma dall'altra parte non potevamo dimenticarci cosa era successo quando aveva fatto l'ultima fusione, quando in tre minuti ha avuto un infarto, un edema polmonare e una polmonite. Il 30 novembre entrò per la trentacinquesima volta in sala operatoria, l’intervento andò bene anche se i primi giorno furono molto duri a causa delle crisi allergiche fuori controllo che sembravano non finire mai. Chiara riprese a mangiare, camminare e gli erano passati tutti i sintomi e dopo quindici giorni uscimmo finalmente dall’ospedale. Nei giorni di convalescenza alla Ronald Mc Donald sembrava andasse tutto bene se non per alcuni piccoli sintomi che sembravano già ritornare fino a quando proprio il giorno prima che dovevamo partire per ritornare in Italia iniziammo a stare male e scoprimmo di avere il Covid, quella fù un'altra bella battaglia perché Chiara era molto debilitata infatti ha avuto la febbre per più di un mese ed eravamo anche senza assicurazione. Negativizzati dal covid dopo quasi un mese riuscimmo a tornare a casa ma purtroppo le sfide non erano finite.

 

 Dopo quasi un anno di stabilità durante il quale Chiara grazie a Dio dotata di una forza straordinaria, nonostante tutto cercava di svolgere tranquillamente la sua vita, iniziò nuovamente a cadere, ad affogarsi con i liquidi, ad aver perso la forza e la sensibilità agli arti superiori ed ogni giorno a peggiorare sempre più. Iniziammo ad approfondire con esami strumentali per capire questa situazione ma il problema era sempre lo stesso, aveva bisogno di nuove fusioni e nuovi interventi a causa della sua grave osteoporosi e dell'instabilità alla colonna causata dalla Sindrome di Ehlers Danlos per cui è necessario stabilizzare tutta la colonna e mentre iniziammo a contattare nuovamente l’America in previsione di tempi molto lunghi per organizzare il tutto e lunghissime permanenze a NY, contattammo il dr Gilete, un neurochirurgo che come il dr. Bolognese si occupa proprio di pazienti come Chiara, e come il dr Bolognese è una bella persona, ha un’empatia fuori dal comune ma soprattutto crede che questi pazienti non sono solo numeri e te lo fa sentire, ma la cosa ancora più bella per noi è che questo medico che si trova in Spagna a due ore di volo da casa nostra. Lui al contrario di altri neurochirurghi contattati soprattutto in Italia con la speranza di avvicinarci a casa, individua dalle risonanze tutte le criticità della sua colonna, ci pone innanzi con onestà rischi e benefici degli interventi di cui Chiara ha bisogno e ci conferma la sua disponibilità. Noi nonostante ci rendiamo subito conto che questa è una valida alternativa non riusciamo di colpo a cancellare tutti questi anni in America e in attesa che il dr Bolognese risponda alle nostre e mail decidiamo di non scegliere nulla, di fidarci di Dio che sicuramente troverà il modo di indirizzarci nelle nostre scelte. Le condizioni di Chiara a metà Maggio si aggravano ulteriormente e improvvisamente e noi altrettanto improvvisamente decidiamo di chiedere al team del dr Gilete di programmare l’intervento, loro rispondono tempestivamente, offrendoci una data a distanza di una manciata di giorni.

Abbiamo affrontato problemi economici, perché anche qui è tutto a pagamento e l’ospedale vuole tutto in anticipo, logistici con costi di camere che comunque non trovavamo, alle stelle, abbiamo deciso di fare solo una parte dell’intervento visto il rischio e visto il costo, ma abbiamo detto si ci siamo fidati di Dio ancora una volta e nonostante tutto è andato tutto bene. In questo momento siamo ancora a Barcellona, dove siamo dovuti tornare stavolta organizzando tutto in due ore, perché si era aperta la ferita e Chiara necessitava un’altro intervento, ancora una volta gli stessi problemi ma grazie a Dio ancora una volta sto raccontando ciò che è accaduto.

 

Questa è la storia di Chiara fino ad oggi, una storia che si accomuna a quella di tante altre vite meravigliose, affette da queste malattie rare e spesso invisibili. Noi siamo ancora in alto mare e non sappiamo come sarà la prossima tempesta ma sappiamo che comunque vadano le cose Dio è con noi e noi voleremo sempre sulle ali della speranza. 

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